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Le idee che cambiano il mondo

Si può cambiare il mondo con un’idea?
Me lo sono chiesto molte volte e ogni volta mi sono risposto di sì: il mondo si cambia con le idee, facendole diventare azioni, incarnandoci in esse. Sono le idee il vero capitale della società, non il denaro. Sono le idee che plasmano il mondo e muovono i capitali nel mercato facendo incontrare una domanda e un’offerta. Poi servono: il tempo da dedicare alla realizzazione di quelle idee, le competenze necessarie e, infine, le persone e le tecnologie che abilitano tutto il processo. Solo alla fine serve il capitale. Ma noi tendiamo sempre a fermarci all’apparenza, all’aspetto materiale e grossolano  delle manifestazioni della realtà: quindi ai capitali, alla scarsità o all’abbondanza. E ci dimentichiamo che dietro a una vera idea c’è sempre un proposito. Che dietro a un proposito c’è sempre una volontà. Che dietro a una volontà c’è sempre una visione. Che dietro a una visione c’è sempre un ideale. Che dietro a un ideale c’è sempre un valore. Che dietro a un valore c’è sempre un’aspirazione di quell’uomo che ha intuito e razionalizzato quell’idea.
La nostra storia è cadenzata dal susseguirsi di momenti in cui grandi idee intuite e realizzate da visionari, sono sorte a rischiarare il nostro mondo e momenti in cui esse sono tramontate perché si erano definitivamente evolute in idee ancora più innovative.

Il processo attraverso il quale nella storia si sono affermate le idee veramente grandi e innovative è sempre stato lo stesso. Tutto parte sempre da un’incontenibile curiosità di un uomo che viene fecondato dal forte desiderio di dare un contributo concreto alla collettività, procurando un beneficio o risolvendo un problema, che lo induce a domandarsi incessantemente “cosa posso fare io?”.

Si attiva così in quell’uomo una capacità molto rara: quella di rendersi particolarmente sensibile al fine di intuire quell’idea col proposito di incarnarla rettamente nella propria vita, divenendone anche modello per il resto della collettività. Divenendo quindi un Nuovo Eroe. Alla fine, giunge il tempo della divulgazione dell’idea, sia in prima persona sia attraverso il coinvolgimento di altri che prima ne restano suggestionati e poi ne sostengono la diffusione.

Si narra che nel 1930, sul finire di una cena che si stava tenendo al Savoy Hotel di Londra in onore di Albert Einstein, lo scrittore George Bernard Shaw ebbe a dire che nella storia sono stati moltissimi gli uomini capaci di creare grandi imperi, ma pochissimi quelli che hanno creato universi senza che le loro mani si macchiassero del sangue dei propri seguaci. “Andando indietro di 2.500 anni posso contarli sulle dita delle mie mani. Pitagora, Aristotele, Tolomeo, Copernico, Galileo, Keplero, Newton e Einstein, e mi restano due dita. Anche tra questi otto uomini devo fare distinzioni: alcuni di essi furono solo restauratori. Newton creò un universo durato 300 anni. Einstein un universo che suppongo vogliate non abbia mai fine, ma non so quanto in effetti durerà!”.

Vi ho raccontato questo aneddoto perché il punto di vista lucido e tagliente di una penna ficcante come quella del noto scrittore e commediografo irlandese, ci aiuta a inquadrare con immediata chiarezza la prospettiva della storia dell’Umanità: noi esistiamo solo in relazione con oppure in contrapposizione a.

Cioè l’uomo è andato avanti nel proprio cammino evolutivo rapportandosi con i suoi simili o da una posizione di contrapposizione (quella di coloro che hanno realizzato le proprie idee e visioni  con la forza, gli scontri, le guerre) oppure mettendosi in relazione con il tutto. Tuttavia sappiamo che se vogliamo garantire un futuro prospero alla nostra specie dobbiamo puntare proprio sulla capacità di relazionarci con la complessità del nostro mondo.

“La scienza ci sta urlando che il nostro attuale modello di crescita è insostenibile. Dobbiamo cambiare le nostre politiche che offrono incentivi per l’uso eccessivo delle risorse. Dobbiamo invece valorizzare il nostro capitale naturale come l’aria, la terra e l’acqua. Il prezzo per chi esaurisce il nostro capitale naturale deve essere adeguatamente contabilizzato.” Questo è stato il messaggio forte e chiaro che Laura Tuck, vicepresidente per lo sviluppo sostenibile della Banca mondiale, ci ha voluto inviare dal World Circular Economy Forum, il forum mondiale sull’economia circolare che quest’anno si è svolto a Helsinki e al quale ho partecipato, per condividere insieme a governi, industrie, imprese e cittadini l’urgenza di uno sforzo decisivo nel ritenere insostenibile in maniera definitiva il nostro sistema economico.

Tuttavia, a mio parere il modello circolare è una soluzione di breve periodo che per essere risolutivo deve necessariamente evolvere in un modello di economia sferica che da tempo teorizzo.

La circolarità prevede che i processi produttivi prendano in considerazione tutte le fasi di un prodotto: dalla progettazione alla produzione, al consumo, fino alla destinazione a fine vita, e che si sappia cogliere ogni opportunità di limitare l’apporto di materia ed energia in ingresso e di minimizzare scarti e perdite, ponendo attenzione alla realizzazione di nuovo valore sociale e territoriale e alla prevenzione delle cosiddette esternalità ambientali negative che sono, per esempio, l’inquinamento atmosferico o idrico, in quanto comporta un costo sociale, in termini di danno all’ambiente e alle persone, che non viene pagato da chi lo produce. Oppure l’accumulo di rifiuti e di scorie radioattive, che minaccia la salute delle persone. O ancora, gli effetti collaterali dei farmaci, che producono malattie non risarcibili. Dunque, si basa sulle tre azioni di Ridurre, Riutilizzare e Riciclare, obiettivi che per essere raggiunti necessitano di un processo di eco-design che abbia la capacità di progettare un bene o un servizio in modo da garantirne la maggiore durata possibile, la sua manutenzione e riparazione, l’opportunità di rilavorarlo, ammodernarlo o aggiornarlo, la possibilità di riciclarlo facilmente al termine della sua vita utile.

Se però restiamo in questa dimensione piatta, bidimensionale, continueremo a rimandare il momento del salto di paradigma che l’economia è chiamata a fare cioè quello di produrre non ricchezza, bensì prosperità. Per l’umanità. Per tutti. Come possiamo noi, Nuovi Eroi, agire affinché ciò accada lo vedremo nel prossimo numero di Di Vita magazine. Nel frattempo, fai della vita un dono e di questo dono qualcosa di significativo per l’insieme.

 

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