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Emotional eating: quando vogliamo curare l’anima mangiando

“La salute è un dovere” affermava Oscar Wilde e, per coltivare tale dovere in modo responsabile, dovremmo tutti diventare più consapevoli delle conseguenze delle nostre scelte, anche in ambito alimentare.

Un esempio? Che mangiare sia essenziale per vivere è una realtà elementare per tutti gli uomini, ciò nonostante spesso mangiamo lasciandoci trascinare da motivazioni che nulla hanno a che vedere con la reale necessità di nutrire il nostro corpo nel modo migliore.
Capita spesso di interpretare come senso di fame sensazioni fisiche che non lo sono e di percepire come necessità di cibo alcune emozioni trovandoci a mangiare pur non avendo bisogno di nutrirci, travolti consciamente o inconsciamente da ciò che in italiano è chiamato “fame nervosa” e che gli anglofoni identificano, più efficacemente, con il termine “emotional eating”.

Il cibo diventa, in queste occasioni, un facile espediente per lenire emozioni negative come frustrazione, preoccupazioni, delusione, stress, rabbia, paura, noia, tristezza e solitudine che possono accompagnare relazioni interpersonali conflittuali, carichi eccessivi di lavoro o di responsabilità, stanchezza, difficoltà finanziarie, problemi di salute o altre situazioni, tanto ordinarie che straordinarie. Assaporare cibi gratificanti, in grado di dare un senso di piacere e di pienezza, non per necessità nutrizionali ma in risposta a stimoli emotivi rientra nella sfera dei comportamenti di compensazione.
Attraverso il consumo di cibo (spesso in grandi quantità e spesso ipercalorico, dolce e ricco in grassi) come biscotti, cioccolata, gelato, merendine, patatine e qualunque altro snack si cerca di “riempire” le carenze affettive o coccolare, lenire, curare le sofferenze della sfera emotiva, più intima, profonda e spesso meno conosciuta di noi stessi.
Di fronte a forti emozioni, inoltre, alcune persone diventano inappetenti ma la maggioranza reagisce mangiando in modo impulsivo arrivando talvolta a fare vere abbuffate o a mangiare cibo tanto rapidamente da non riuscire a gustarlo.

Qualunque sia l’emozione che affrontiamo mangiando il risultato che otteniamo è sempre lo stesso: una momentanea sensazione di benessere e appagamento presto seguita, però, da sensi di colpa e malessere e, generalmente, un progressivo aumento di peso.
Cambiare schema comportamentale non è però impossibile, iniziando con mettere in atto piccoli espedienti pratici: non tenere in dispensa cibi golosi, imparare a conoscersi cercando di capire in ogni occasione se ciò che percepiamo come fame sia davvero un bisogno fisico o piuttosto di origine emotiva, tenere un diario alimentare.
Nel lungo periodo può essere molto utile anche mettere in atto delle tecniche di gestione dello stress come praticare yoga, meditazione o respirazione profonda.
In acuto dobbiamo trovare un modo sistematico per distrarci durante i pochi minuti nei quali il desiderio di cibo come un’onda arriva, ci travolge e poi passa. Nel momento critico volgere la nostra attenzione a qualsiasi attività potrà aiutarci a distrarre la mente dal pensiero ossessivo di cibo. Potresti, ad esempio, giocare con il gatto, ascoltare della musica, leggere qualcosa, navigare in internet oppure farci la doccia, chiamare un amico, fare una passeggiata, guardare un film, uscire con il cane…

Agire consciamente in tutte queste direzioni ci consentirà di acquisire, nel tempo, un sempre maggior controllo, potere decisionale e autonomia e potrebbe rivelarsi una stimolante sfida nella crescita personale.
Parlare con un amico di questa nostra attitudine può essere di grande aiuto, se invece fosse causa di sofferenza emotiva o fisica sarebbe opportuno confrontarsi con un professionista.